sabato 2 agosto 2008

Strage di Bologna, è ora di riaprire il processo




Bologna, 2 agosto 1980. Ero rientrato in Italia il primo agosto dopo un mese di ferie. Per me viaggio premio, per aver superato gli esami di terza media, in Thailandia e Singapore. Erano circa le 11 quando la televisione annunciava con edizioni straordinarie di una orrenda strage avvenuta alla stazione di Bologna. Poche ore dopo l’allora ministro dell’Interno, poi Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, annunciava agli italiani ed al mondo intero che si trattava di un attentato. E che questo attentato era di chiara marca fascista. Proprio come recita la scritta che ancora campeggia oggi nella sala d’aspetto alla stazione di Bologna.
Ancora con ricordi personali potrebbe dire giustamente qualcuno. Purtroppo non posso farne a meno perché la mia vita, privata, professionale e politica si intraccia continuamente con la storia di quell’Italia di cui, nel mio piccolo, a destra, sono stato un attore. Così come tanti altri militanti. Anni che hanno profondamente segnato il mio futuro e quello di tanti come me.
Nell’agosto di quel 1980 avevo quasi 14 anni, pochi si dirà, abbastanza invece per tutti coloro che in quegli anni cominciavano a fare politica. Da pochi mesi, infatti, avevo iniziato a frequentare quella destra extraparlamentare che fu poi travolta dagli eventi e dal sangue. Pochi mesi prima avevo partecipato ad alcune manifestazioni militanti di Terza Posizione. Avrei rivisto molti di quegli amici, al quale sono rimasto legato tutt’ora, soltanto 11 anni dopo. Tanti di loro furono arrestati nella ormai famosa retata del 23 settembre, scontando molti anni (5 se non ricordo male) di carcere preventivo per essere poi assolti per non aver commesso il fatto. Altri ancora erano riusciti a fuggire all’estero. Io mi salvai perché ero “troppo piccolo”. Sarebbe bastato 1 anno di più e probabilmente anche io avrei onorato le patrie galere della mia presenza. Ma il mio percorso non si interruppe. Mai. E 28 anni dopo sono qui a raccontare una storia che sembra lontana un secolo e che invece è solo dietro l’angolo.
Bologna travolse tutto e tutti. Fu l’epilogo tragico, anzi, l’inizio della fine di un intero mondo, di un intero ambiente militante (inutile fare distinzione di sigle o gruppi sarebbe stupido), di una intera generazione. Una generazione “votata al macello” come dice una canzone di Gabriele Marconi che stenta ancora oggi a riprendersi da quella croce di cui venne caricata. Una croce troppo grossa, troppo pesante, troppo ingiusta ed infame. Certo, alcuni hanno fatto strada, sono arrivati in Parlamento e nelle Istituzioni. Altri non ci sono più… Il tributo di sangue a quella guerra non dichiarata che furono gli Anni di piombo è stato elevato. Troppo. E troppo spesso voluto scientemente a tavolino da qualcuno che ha l’animo da puparo. Mangiafuoco d’altri tempi con l’unica differenza che questa non è una favola da raccontare ai bambini.
85 vittime che continuano ad essere senza giustizia nonostante la sentenza passata in giudicato per Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini.
Una condanna infame ed ingiusta, una condanna di comodo fondata sul nulla. Una sentenza politica come il teorema accusatorio costruito piano piano negli anni, nei decenni. Un teorema, come dicevamo, costruito sul nulla. Niente prove, niente riscontri, testimonianze inascoltate, alterate, depistagli, morti strane e decisione dei giudici basate solo deduzioni. Servivano dei colpevoli per la strage più orrenda mai avvenuta in Italia. Sono stati trovati. Erano dei ragazzini. Certo, ragazzini che sparavano ed ammazzavano. Reati per cui hanno pagato e che mai hanno negato. Ma una strage è un’altra cosa…. Nessuno, soprattutto Ciavardini, all’epoca minorenne, arrestato insieme a Nanni De Angelis a Roma (Nanni morì suicida(to) il 5 ottobre 1980 nella cella in cui era stato rinchiuso dopo essere stato massacrato di botte durante l’arresto ed in Questura perché sospettato dell’omicidio del capitano della Digos Straullu), e considerato l’esecutore materiale della strage, colui che portò materialmente la bomba nella sala d’aspetto della stazione bolognese, avrebbe mai commesso un gesto del genere. Non rientrava e non rientra nella mentalità di un militante di destra, nemmeno di quelli che avevano scelto la lotta armata.
Oggi sono sempre di più quelli che chiedono una revisione del processo. Anche l’allora ministro Kossiga, quello con la k e le ss di hitleriana memoria, afferma che non sono loro gli esecutori e che ci sono cose mai dette. Ustica, la battaglia nei cieli siciliani per abbattere l’aereo di Gheddafi, il mig libico schiantatosi sulla Sila, le dichiarazioni (e le botte subite per non farle) dell’ex terrorista internazionale Carlos, la pista palestinese. Sono tante le cose che non quadrano in questa triste vicenda. In questo mistero italiano. Tante, troppe. Soprattutto perché ci sono delle persone accusate e condannate che non c’entrano nulla. Ed una di queste, Luigi, è ancora rinchiuso in carcere a scontare una condanna assurda. Sarebbe potuto scappare ancora Ciavardini, non lo ha mai fatto. Non lo ha voluto fare. “Io non scappo per una cosa che non ho fatto. Sono innocente e lo dimostrerò finché campo”, mi disse alcuni anni fa Luigi.
Oggi, a distanza di anni, nonostante sia ancora in carcere con l’unica accusa di aver vissuto in anni sbagliati, di essere stato attore di un film che altri hanno interpretato per lui, di aver vissuto qualcosa più grande di lui, non posso che dare ragione a Luigi. Io so che lui e gli altri sono innocenti. Io so che è tempo di mettere sul tavolo della giustizia la verità. Quella vera. Io so che il tempo della giustizia verrà. Soprattutto per quelle 85 innocenti vittime di uno Stato per troppo tempo colpevole, reticente ed insabbiatore.
E’ l’ora della verità. Una verità per cui tutti dobbiamo lottare. Per non lasciare solo Luigi Ciavardini, per dare giustizia a lui a Francesca a Valerio e, soprattutto, ai morti di Bologna e ai loro familiari.
2 agosto 1980 – 2 agosto 2008, per non dimenticare mai quello che fu lo Stato Italiano e quanto male fece agli italiani. Tutti.

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