VI INVITO A LEGGERE QUESTO ARTICOLO DI PIETRANGELO BUTTAFUOCO ANCHE SE NON E' RECENTISSIMO....IL SUO AFFRESCO CAUSTICO E DIRETTO FORSE NON E' DEL TUTTO CONDIVISIBILE.....MA CREDO CHE POSSA FAR SORGERE DELLE RIFLESSIONI SULLA REALTA' DELLA DESTRA .
Povera destra mia, perduta fra i carrieristi
di Pietrangelo Buttafuoco
Adesso Alleanza nazionale si appresta a fare una nuova svolta. Francesco Storace ha riunito i suoi, sono «la destra di destra», Gianni Alemanno farà la sua convention separata nella mezza estate e sarà una stagione di convegni. Ci sta lavorando di fino Adolfo Urso, che è tipo da pensatoio. Ha avuto l’incarico da Gianfranco Fini che, invece, preferisce scacciarli i pensieri. In Sicilia dove la costituzione del governo Cuffaro ha dovuto attendere gli spasimi di An, il leader quasi non è più benvenuto: ha avuto problemi con Enzo Trantino, celebre penalista, cui aveva garantito il Csm, e con Fabio Fatuzzo, cui aveva promesso l’ingresso nel governo di Palazzo d’Orleans a Palermo. Ha fatto guerra a Raffaele Stancanelli, il vicepresidente dell’assemblea regionale, fra i campioni di raccolta del consenso, col rischio di ripetere un altro abbandono: quello di Nello Musumeci, il presidente della Provincia di Catania stravotato e però costretto a fare la sua scissione nell’arcipelago dell’autonomismo, in alleanza con Raffaele Lombardo. È la crisi dentro quello che fu il più importante deposito elettorale della destra, ma pare che dal Veneto a Lampedusa la regola fondamentale sia la stessa: cacciare (o far scappare) chiunque possa togliere spazio alla comitiva di dirigenti che con la politica ci campa. Tra credenti e carrieristi, non si è superata quella fase per cui, direbbe il filosofo Fatuzzo, la politica che amministra la realtà dal «è un cretino ma è un amico» deve passare a quella più responsabile del «è un amico, ma è un cretino», affinché ì consigli d’amministrazione poi non vengano sfasciati dai dilettanti allo sbaraglio. E gran sbaraglio di dilettantismo è stata An alla prova della realtà, sebbene il partito abbia attraversato una brutta mesata dopo le intercettazioni, le vergogne e gli arresti alla malasanità in Lazio, sebbene sia fin troppo chiaro che se si vota domani come niente An becca un 5 per cento, tanto è sfasciato il partito. Si spera che l’ennesima svolta di An non corrisponda poi alla caustica battuta di donna Assunta, la vedova di Giorgio Almirante: «An svolta, e che diventa?, Na?». Prima di tutte le svolte ci fu un partito che di nome e cognome faceva Movimento sociale. Era quello con la base trapezoidale nel simbolo, ebbene si era quello della bara. Fiamma tricolore con dicitura «Destra nazionale» e poi la sigla, M.S.I., che sotto sotto significava questo: Mussolini Sei Immortale, ma anche, e si trattava di sottrarre voti alla Democrazia cristiana, Maria Santissima Immacolata. Perfino Padre Pio, in confessionale, ai penitenti arrivati a San Giovanni Rotondo che chiedevano il permesso di votare il partito di Almirante («Si commette peccato?») rispondeva: «Peccato è non votare l’Msi!». Ci fu dunque questo partito che pure nel dramma di un dopoguerra mai chiuso raccontò molto più di una nostalgia. Sarebbe stata nostalgia di modernità fra l’altro: l’urbanistica, la scienza di Guglielmo Marconi, l’organizzazione culturale, la letteratura di Luigi Pirandello, l’Enciclopedia italiana, l’avanguardia artistica di un pittore tra i massimi come Alberto Burri (rinchiuso in un campo di concentramento Usa nel Texas), oppure quell’Iri dove si sarebbe fatto le ossa Romano Prodi. Fu il partito della giustizia al servizio dello Stato. Fu, infatti, il partito di Paolo Borsellino e di un altro fascistone dell’antimafia, ovvero Mauro De Mauro, il cronista del quotidiano L’Ora cancellato in un pilone di cemento armato. Alleanza nazionale ha buttato via tutto questo mondo e cancellato tutta l’effervescenza di un dibattito splendido al punto di ritrovare nel comitato editoriale del Borghese (e dopo, nel Giornale di Indro Montanelli) protagonisti come Ernst Jünger, Eugene Ionesco, Vintila Horia, Mircea Eliade in cambio di un Domenico Fisichella troppo ingrato per restare anche in tempi di magra, per meritarsi infine la benedizione dada di Maurizio Gasparri sull’Indipendente: «Ho preso 200 mila voti alle europee, sono schede dove hanno dovuto scrivere il mio cognome. Quanti libri avrà mai venduto Fisichella?». Più di Fisichella hanno venduto i “Fascisti immaginari” di Luciano Lanna e Filippo Rossi e i “Cuori neri” di Luca Telese, il cui blog, a dispetto di An dove non si discute, ma ci si scazza, è un agone a disposizione delle discussioni. Ma sarebbe perfino scontato aprire una questione sulla miseria culturale, An ormai al tramonto è puro trash. Alemanno, il più chic tra i dirigenti di An, comunque candidato sindaco di Roma fino a ieri, per umiltà di bottega ha dovuto sopportare i tassisti (non le quadrate legioni, ma i tassisti?) che lo celebravano al grido di «Du-ce, du-ce, du-ce!» come in una scena di “Caterina va in città”, o come nello spasso di “Vogliamo i colonnelli”. La caricatura: dalle inique sanzioni alle licenze taxi. Tanto valeva restare Msi. Fatta tara dell’antifascismo obbligatorio, religione civile dell’Italia democratica, fatta tara dell’inutilità politica (per quel che è valsa poi, l’utilità di An), la fiamma fu il marchio di uno stile familiare agli italiani pur educati a stare alla larga dalla destra. Un marchio perfino ammirato, se Andrea Camilleri, in, un romanzo, affida al «missino del paese» un ruolo nobile quando invece nella Rai di stato, in tempi di recente guerra antiberlusconiana, in una celebre puntata del “Medico in famiglia”, l’orrido pedofilo stanato da Nonno Libero (lettore dell’“Unità”) è ovviamente un lettore del “Giornale”. II MsI non fu mai al potere e dunque non ebbe modo di sporcare le sue pulite mani, così si dice per riflesso condizionato, ma se non fu mai al governo fu però espressione di tutta un’umanità radicata nel territorio. I suoi militanti (gli aderenti, si sarebbe detto) come minimo non erano succubi dell’egemonia culturale della sinistra. Erano i lettori di Indro Montanelli e di Giovannino Guareschi, avevano i libri di Giuseppe Berto, gli album di Leo Longanesi e nel 1958, a Genova, quando dopo 12 anni d’internamento negli Usa tornò Ezra Pound, il sommo poeta salutò i giornalisti con il saluto romano dopo di che fu pronto a concedere un’intervista a Pier Paolo Pasolini; anche a nome di Franz Pagliani, l’ex federale del Pnf di Bologna, clinico di fama internazionale il quale, malgrado la sua condizione di recluso, veniva rispettosamente convocato in una sala operatoria antifascista per dare la sua scienza di chirurgo e poi riconsegnato ai secondini. Non erano cittadini di serie B. Da Fiuggi furono traghettati nella democrazia. Italiani che pensavano di essere speciali si sono svegliati in questa dura mesata appena scorsa per scoprirsi come gli altri. Anzi, peggiori.
“Panorama” – 20 luglio 2006
Nessun commento:
Posta un commento