martedì 13 febbraio 2007

Buttafuoco e il destino della Destra

VI INVITO A LEGGERE QUESTO ARTICOLO DI PIETRANGELO BUTTAFUOCO ANCHE SE NON E' RECENTISSIMO....IL SUO AFFRESCO CAUSTICO E DIRETTO FORSE NON E' DEL TUTTO CONDIVISIBILE.....MA CREDO CHE POSSA FAR SORGERE DELLE RIFLESSIONI SULLA REALTA' DELLA DESTRA .


Povera destra mia, perduta fra i carrieristi

di Pietrangelo Buttafuoco

Adesso Alleanza nazionale si ap­presta a fare una nuova svolta. Francesco Storace ha riunito i suoi, sono «la destra di destra», Gianni Alemanno farà la sua convention sepa­rata nella mezza estate e sarà una sta­gione di convegni. Ci sta lavorando di fino Adolfo Urso, che è tipo da pensa­toio. Ha avuto l’incarico da Gianfranco Fini che, invece, preferisce scacciarli i pensieri. In Sicilia dove la costituzione del governo Cuffaro ha dovuto attende­re gli spasimi di An, il leader quasi non è più benvenuto: ha avuto problemi con Enzo Trantino, celebre penalista, cui aveva garantito il Csm, e con Fabio Fa­tuzzo, cui aveva promesso l’ingresso nel governo di Palazzo d’Orleans a Paler­mo. Ha fatto guerra a Raffaele Stancanelli, il vicepresidente dell’assemblea regionale, fra i campioni di raccolta del consenso, col ri­schio di ripetere un altro abbandono: quello di Nello Mu­sumeci, il presidente della Pro­vincia di Catania stravotato e però costretto a fare la sua scissione nell’arcipelago dell’autonomismo, in alleanza con Raffaele Lombardo. È la crisi dentro quello che fu il più importante deposito elettorale della destra, ma pa­re che dal Veneto a Lampedu­sa la regola fondamentale sia la stessa: cacciare (o far scappare) chiunque pos­sa togliere spazio alla comitiva di diri­genti che con la politica ci campa. Tra credenti e carrieristi, non si è superata quella fase per cui, direbbe il filosofo Fatuzzo, la politica che amministra la realtà dal «è un cretino ma è un amico» deve passare a quella più responsabile del «è un amico, ma è un cretino», af­finché ì consigli d’amministrazione poi non vengano sfasciati dai dilettanti al­lo sbaraglio. E gran sbaraglio di dilet­tantismo è stata An alla prova della re­altà, sebbene il partito abbia attraver­sato una brutta mesata dopo le intercet­tazioni, le vergogne e gli arresti alla ma­lasanità in Lazio, sebbene sia fin trop­po chiaro che se si vota domani come niente An becca un 5 per cento, tanto è sfasciato il partito. Si spera che l’enne­sima svolta di An non corrisponda poi alla caustica battuta di donna Assunta, la vedova di Giorgio Almirante: «An svolta, e che diventa?, Na?». Prima di tutte le svolte ci fu un parti­to che di nome e cognome faceva Mo­vimento sociale. Era quello con la base trapezoidale nel simbolo, ebbene si era quello della bara. Fiamma tricolore con dicitura «Destra nazionale» e poi la si­gla, M.S.I., che sotto sotto significava questo: Mussolini Sei Immortale, ma anche, e si trattava di sottrarre voti alla Democrazia cristiana, Maria Santissima Immacolata. Perfino Padre Pio, in con­fessionale, ai penitenti arrivati a San Giovanni Rotondo che chiedevano il permesso di votare il partito di Almiran­te («Si commette peccato?») risponde­va: «Peccato è non votare l’Msi!». Ci fu dunque questo partito che pure nel dramma di un dopoguerra mai chiu­so raccontò molto più di una nostalgia. Sarebbe stata nostalgia di modernità fra l’altro: l’urbanistica, la scienza di Guglielmo Marconi, l’organizzazione culturale, la letteratura di Luigi Piran­dello, l’Enciclopedia italiana, l’avan­guardia artistica di un pittore tra i mas­simi come Alberto Burri (rinchiuso in un campo di concentramento Usa nel Texas), oppure quell’Iri dove si sareb­be fatto le ossa Romano Prodi. Fu il partito della giustizia al servizio dello Stato. Fu, infatti, il partito di Paolo Bor­sellino e di un altro fascistone dell’an­timafia, ovvero Mauro De Mauro, il cronista del quotidiano L’Ora cancel­lato in un pilone di cemento armato. Alleanza nazionale ha buttato via tut­to questo mondo e cancellato tutta l’effervescenza di un dibattito splendido al punto di ritrovare nel comitato editoria­le del Borghese (e dopo, nel Giornale di Indro Montanelli) protagonisti come Ernst Jünger, Eugene Ionesco, Vintila Horia, Mircea Eliade in cambio di un Domenico Fisichella troppo ingrato per restare anche in tempi di magra, per meritarsi infine la benedizione dada di Maurizio Gasparri sull’Indipendente: «Ho preso 200 mila voti alle europee, sono schede dove hanno dovuto scrive­re il mio cognome. Quanti libri avrà mai venduto Fisichella?». Più di Fisichella hanno venduto i “Fa­scisti immaginari” di Luciano Lanna e Fi­lippo Rossi e i “Cuori neri” di Luca Telese, il cui blog, a dispetto di An dove non si discute, ma ci si scazza, è un agone a disposizione delle discussioni. Ma sarebbe perfino scontato aprire una questione sulla miseria culturale, An ormai al tramonto è puro trash. Alemanno, il più chic tra i dirigenti di An, comunque candidato sindaco di Roma fino a ieri, per umiltà di bottega ha dovuto sopportare i tassisti (non le quadrate legioni, ma i tassisti?) che lo celebravano al grido di «Du-ce, du-ce, du-ce!» come in una scena di “Caterina va in città”, o come nello spasso di “Vo­gliamo i colonnelli”. La caricatura: dal­le inique sanzioni alle licenze taxi. Tan­to valeva restare Msi. Fatta tara dell’antifascismo obbliga­torio, religione civile dell’Italia demo­cratica, fatta tara dell’inutilità politica (per quel che è valsa poi, l’utilità di An), la fiamma fu il marchio di uno sti­le familiare agli italiani pur educati a stare alla larga dalla destra. Un mar­chio perfino ammirato, se Andrea Ca­milleri, in, un romanzo, affida al «missino del paese» un ruolo nobile quan­do invece nella Rai di stato, in tempi di recente guerra antiberlusconiana, in una celebre puntata del “Medico in fa­miglia”, l’orrido pedofilo stanato da Nonno Libero (lettore dell’“Unità”) è ov­viamente un lettore del “Giornale”. II MsI non fu mai al potere e dunque non ebbe modo di sporcare le sue puli­te mani, così si dice per riflesso condi­zionato, ma se non fu mai al governo fu però espressione di tutta un’umani­tà radicata nel territorio. I suoi militan­ti (gli aderenti, si sarebbe detto) come minimo non erano succubi dell’egemo­nia culturale della sinistra. Erano i let­tori di Indro Montanelli e di Giovanni­no Guareschi, avevano i libri di Giu­seppe Berto, gli album di Leo Longa­nesi e nel 1958, a Genova, quando do­po 12 anni d’internamento negli Usa tornò Ezra Pound, il sommo poeta sa­lutò i giornalisti con il saluto romano dopo di che fu pronto a concedere un’intervista a Pier Paolo Pasolini; an­che a nome di Franz Pagliani, l’ex fe­derale del Pnf di Bologna, clinico di fa­ma internazionale il quale, malgrado la sua condizione di recluso, veniva ri­spettosamente convocato in una sala operatoria antifascista per dare la sua scienza di chirurgo e poi riconsegnato ai secondini. Non erano cittadini di se­rie B. Da Fiuggi furono traghettati nella democrazia. Italiani che pensavano di essere speciali si sono svegliati in que­sta dura mesata appena scorsa per sco­prirsi come gli altri. Anzi, peggiori.

“Panorama” – 20 luglio 2006

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